mercoledì 30 marzo 2011

everyman

Philip Roth nacque a Newark, la più grande città del New Jersey; quella i cui abitanti più giovani, per scoprire i propri sogni, guardano dall’altra parte del fiume Hudson, dove sta Manhattan, e aspettano di andare un giorno sulla sponda più nobile a realizzarli. La comunità ebrea di Newark è, storicamente, molto numerosa e assai nutrita dal punto di vista culturale. Tuttavia, per quanto sia impossibile ignorare – per comprendere la letteratura di Roth – che egli sia un ebreo di Newark, il dato biografico più importante in relazione a questo suo romanzo è il suo anno di nascita, il 1933. Everyman è una storia di progressiva perdita, di rimpianto e nostalgia, di decadimento fisico: con Everyman Philip Roth tenta una resa dei conti con il proprio invecchiamento e non è certo un caso che questa esigenza sia sorta a settantatré anni.
La vicenda parte dalla fine. Dalla tomba del protagonista, sulla quale i suoi cari si sono riuniti per tributargli l’ultimo saluto. A stroncarlo è stato il cuore, proprio durante un intervento chirurgico che doveva liberare la sua carotide ostruita. Del resto, non era il primo intervento simile che si era reso necessario per quest’uomo, e il suo corpo da alcuni anni andava sempre più frequentemente rifiutandosi di svolgere i propri compiti con puntualità.

Il breve racconto che segue è quello di una vita: una vita comune, dall’infanzia di un ragazzino devoto ai propri genitori e straordinariamente affezionato al fratello maggiore, alla maturazione di un uomo benestante, con una carriera di successo nella pubblicità e la passione per l’arte ed il nuoto. I ricordi del protagonista fluiscono malinconici, senza mai diventare patetici eppure insistendo più sul rimorso per i propri errori che sull’orgoglio per le gioie trascorse. E proprio questo rimorso crescente è la lente attraverso cui ci si guarda indietro da vecchi, sembra dire Roth. Gli errori si rimpiangono poiché la conseguenza che li accomuna è la solitudine; la consapevolezza di essere rimasto solo e di comportare ormai un peso per chi ancora gli vuole bene è ciò che attanaglia i pensieri dell’uomo malato, nelle rare occasioni in cui non si sta angosciando proprio per il terribile conto che il suo corpo stanco gli presenta, sempre più salato, già sempre ineluttabile.
Proprio il corpo del protagonista è un personaggio di Everyman almeno quanto i suoi ricordi, vien quasi da identificare in esso l’antagonista classico. L’uomo di Everyman, come ogni uomo, appunto, non sa scendere a patti col decadimento delle proprie membra, fin da quando deve seppellire i propri genitori non riesce a stare ritto di fronte alla morte e i ricorrenti incontri con suoi coetanei malati, paralizzati o morenti lo lasciano svuotato, impotente nella consapevolezza del proprio destino. Il suo corpo era forte e ne ha fatto un uomo brillante e affascinante, abile nuotatore, apprezzato dalle donne. E proprio l’ardore virile di cui rifulgeva lo ha portato ai tradimenti e ai primi abbandoni che si imputa. Poi, quando il corpo è divenuto fragile e traditore, l’uomo ha preso ad invidiare l’amato fratello, da sempre sano; ed ecco ancora la corporalità far cadere la ghigliottina di un altro distacco imperdonabile.
Pagina dopo pagina, la scrittura di Roth è amara, anche angosciosa ma rifugge il baratro della retorica spicciola. I passi emotivi si intensificano con il procedere della vicenda, come se la prosa riflettesse l’appesantirsi trascinato e affaticato della vita nel suo incedere. Un grande libro per il terzo scrittore americano che abbia avuto l’onore di veder pubblicata in vita la propria opera completa dalla Library of America.


Philip Roth
Everyman
Einaudi
€ 9,00

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