mercoledì 30 marzo 2011

everyman

Philip Roth nacque a Newark, la più grande città del New Jersey; quella i cui abitanti più giovani, per scoprire i propri sogni, guardano dall’altra parte del fiume Hudson, dove sta Manhattan, e aspettano di andare un giorno sulla sponda più nobile a realizzarli. La comunità ebrea di Newark è, storicamente, molto numerosa e assai nutrita dal punto di vista culturale. Tuttavia, per quanto sia impossibile ignorare – per comprendere la letteratura di Roth – che egli sia un ebreo di Newark, il dato biografico più importante in relazione a questo suo romanzo è il suo anno di nascita, il 1933. Everyman è una storia di progressiva perdita, di rimpianto e nostalgia, di decadimento fisico: con Everyman Philip Roth tenta una resa dei conti con il proprio invecchiamento e non è certo un caso che questa esigenza sia sorta a settantatré anni.
La vicenda parte dalla fine. Dalla tomba del protagonista, sulla quale i suoi cari si sono riuniti per tributargli l’ultimo saluto. A stroncarlo è stato il cuore, proprio durante un intervento chirurgico che doveva liberare la sua carotide ostruita. Del resto, non era il primo intervento simile che si era reso necessario per quest’uomo, e il suo corpo da alcuni anni andava sempre più frequentemente rifiutandosi di svolgere i propri compiti con puntualità.

6 giri intorno al mondo

Sei fotografi da tutto il mondo. Sei grandi città di tutto il mondo. Una visione collettiva.

Nella descrizione più sotto – recuperata da Youtube – trovate i link ai siti dei sei artisti.

Around the World, Street Photography in BNW from wahliaodotcom on Vimeo.


6 international photographers come together to create this video. This is the first attempt at doing this across the globe and as unique as it is, we got it down and we hope you like it. We have to thank the new technologies like Twitter (which is how this started) and Vimeo for this to happen. All the organizing and image file forwarding was through emails and twitter, and communications were so much easier with it. Thank God for technology. :D
The Photographers:
France Elaine Vallet 
England Sureka Dharuman 
USA Francesco Gallarotti 
Israel Ilan Bresler 
Singapore Wong Kin Leong 
Australia Anissa El Gariani 
this project started with Kin Leong asking Ilan whether he would like to do something like this, and as it turned out, we had lots of friends that joined in. 6 in total and spreading across the globe, we discussed what to do and deadlines were set.
And files were uploaded onto websites and emailed across to Singapore where this video is programmed on a MacBookPro and loaded onto Vimeo to be downloaded again by the 6 photographers for use in their country. Pretty neat if you ask me.
This video will probably be the first of its kind, 6 photographers from 6 major cities, shooting black and white street photography.
Just for the love of what we would like you to see.
Thanks for viewing, I hope u are as blown away as we are doing this. It was definitely a wonderful thing to have 6 of us do this, really says something about the world that ain't all that different afterall. Thanks!

mercoledì 23 marzo 2011

Holi, il colore

Ogni anno la Festa di Holi saluta l'arrivo della primavera e la partenza dell'inverno.
I fedeli indù e il resto della gente che si riuniscono per celebrare manifestano in un'esplosione letterale di colori e se ne lasciano coprire, invadere, sommergere, attraversare e si fondono con i vicini nella policromia.

L'abbraccio che ne scaturisce è raccontato su boston.com da 43 fotografie davvero suggestive. Ve ne anticipo alcune qui sotto.





l'aurora


The Aurora from Terje Sorgjerd on Vimeo.


Questo lavoro è stato realizzato da Terje Sorgjerd che ha lavorato con un dolly vicino al Kirkenes and Pas National Park vicino al confine con la Russia con temperature che erano di circa -25°C. Una settimana in condizioni non certo semplici per immortalare una delle più belle aurore boreali degli ultimi anni.
Per la realizzazione è stata utilizzata una Canon 5D mark II con il seguente corredo di obiettivi: Canon 16-35mm f/2.8II, Canon 24mm f/1.4 II, Canon 85mm f/1.2, Sigma 12-24mm.
la descrizione che leggete qui sopra è tratta da clickblog.it

yowayowa camera woman

Un'idea molto carina dell'artista Natsumi Hayashi, la yowayowa camera woman che ama levitare.

Qui sotto vedete alcuni scatti, apparsi su Likecool, mentre il diario fotografico, cui Natsumi racconta le sue levitazioni giornaliere, è questo.


lunedì 21 marzo 2011

altai – wu ming

Ben strano concetto, quello di tolleranza. Recita il dizionario: «Capacità di resistere a condizioni sfavorevoli senza subirne danno». I linguaggi mediatici e, di riflesso, i linguaggi quotidianamente condivisi, ci abituano all’uso della parola tolleranza nel campo semantico dell’immigrazione. E non v’è alcuno che, sentendola, la avverta carica di connotazione negativa. Eppure, alla lettera, essa ci parla degli stranieri come di una forza minacciosa da sopportare e superare. Questa tolleranza non supera la scissione, non risana la frattura razzista tra «noi» e «loro».
L’incontro tra culture diverse, la commistione di saperi e tendenze millenari, la creazione comune di una civiltà figlia di quelle immense risorse; questo uno – forse il più permeato e allegorico – dei motivi di Altai, ultima fatica collettiva della Wu Ming Foundation. Un motivo che prende il nome di tahammül e non è certo un caso se proprio quel nome era il titolo provvisorio del nuovo romanzo.

venerdì 18 marzo 2011

JR vi appiccica un poster sul mondo

Quest'anno il vincitore del TED Prize è JR!

Grande, il cattivone di Dallas! Ecco, non lui.

Qui ci spiegano cosa sono il TED (Technology, Entertainment, Design) e il TED Prize.
Qui, invece, troviamo informazioni (un attimino più interessanti) sull'artista francese JR. (A meno che la Paris di cui dicono non sia Paris, Texas e allora potrebbe essere davvero JR di Dallas. No, di Paris. Va be', lasciamo perdere? Anche sì)


Comunque, il lavoro di JR ve lo mostro qui sotto (la voce è la sua):


Fonte: TED Prize Winner JR & INSIDE OUT from TED Prize on Vimeo.

Questo, invece, è il suo discorso alla proclamazione. È un po' lungo ma il tipo non è niente male:

giovedì 17 marzo 2011

in un mondo riconosco

Il libro intitolato in un mondo riconosco diverso un sogno strano, un morbido liquido immenso in sott'olio, ricordo un riflesso, mi abbagliava anch'esso, libero ma costante, forse solo la lancetta d'un orologio che si scagliava, lentamente, da una parte all'altra.
Due, o forse tre, perchè non quattro. Ma solo un libro insoluto, solare, saltare. Miglio.
Riconosco una lettera. Ti sto sognando, lettore. è stato pubblicato come catalogo di un'esposizione fotografica di Gabriele Zabelli, nel 2010.

Fotografie di Gabriele Zabelli. Testi di Paolo Capelletti, Fabrizio Migliorati e Gabriele Zabelli.

Questo e gli altri lavori del fotografo Gabriele Zabelli potete gustarveli anche qui.

lunedì 14 marzo 2011

recensioni: a dio spiacendo

What if God was one of us? E se Dio fosse uno di noi? Stai lì, ti guardi attorno e non sei il primo a dubitarne, né sarai l’ultimo. Un Dio relativo, del quale non sappiamo nulla e che ancora meno conosce di noi. Ti adoperi, ti affanni a rincorrerne le Leggi, perché sia sopita anche solo una stilla della colpa – viscosa e soffocante – con cui convivi da sempre. E Lui non poteva immaginare in quale ingestibile vicenda si stesse impelagando creando gli uomini: assolutamente incapaci di intendere la necessità naturale, sempre pronti a chiedere, a pregare, che è un rimedio splendido per addossarGli le responsabilità del Male più che del Bene – il secondo son bravi tutti a farlo –. Far girare l’universo dev’essere faccenda da garantire ben più di un’emicrania. Prima di tutto, procurare il numero previsto di morti: difficile essere simpatico, se sei quello che ammazza la gente, hai un bel dire che sei pure quello che la fa venire al mondo. Eccolo, che scende per le strade di cattivo umore, pistola in mano, a smaltire il lavoro accumulato.

giovedì 10 marzo 2011

le recensioni: il vangelo secondo gesù

Grazie Scrittore. Credo che gli omaggi di questi giorni, tributati dai media nazionali in occasione della sua scomparsa, manchino José Saramago, non lo trovino mai laddove le loro parole cercano di raffigurarlo, forse per l’eccessiva ansia di tratteggiarne un’immagine eroica. Saramago era certamente il premio Nobel impegnato politicamente, membro del partito comunista e critico pensatore del sociale. Certo era l’ateo che diede alle stampe opere sgradite alla Chiesa e attaccò l’immunità e l’impunità di Israele. Indubbiamente fu colui che subì la rottura del decennale rapporto con Einaudi in seguito alle sue righe su Silvio Berlusconi così come entrò in conflitto con il governo portoghese dopo il Vangelo secondo Gesù Cristo. Ma José Saramago era uno scrittore. E proprio dalle pagine del Vangelo emerge – con una potenza eguagliata forse solo in Cecità – quanto fenomenale.
La figura dello scrittore è esile, il suo volto è segnato dalla vita che si è fatta strada a solchi, l’incavo dei suoi occhi si accende ora dei lampi dell’indignazione, che non transige però rassegnazione alcuna, ora dell’irriducibile amore per il mondo e per la parola. Questa è la protagonista.
Parola, oggetto creato e soggetto creatore, sempre sulla soglia vertiginosa della prossima sperimentazione e tuttavia mai a discapito, piuttosto in virtù, della sua riconoscibilità, dell’intimità con il lettore. Parola, linguaggio che è discorso, il segno orale così vivido e carnale – la parola del Signore – da non necessitare di segni grafici che lo delimitino o lo incanalino. Parola, quelle delle Scritture, riscritta qui tutt’altro che con l’intento schernitorio di un’eresia banale ma col desiderio, piuttosto, di squarciare il velo secolare che ha allontanato quella Parola da colui di cui parla, dal Figlio dell’uomo.
E proprio come un uomo Gesù è raccontato: incarnato secondo il mistero, fatto uomo per essere strumento del progetto divino, eppure essere umano che si sporca le mani di terra, che guarda negli occhi i suoi prossimi, che desidera, teme la sofferenza e ha paura di morire. Gesù suda, sanguina, gode. Ecce homo.
Gesù è il figlio di Dio ma non vorrebbe questa elezione. Le sue parole e i suoi atti sono doni che alleviano le sofferenze del popolo, ma sono altre parole, quelle del Padre, che gli confermano il suo destino: il suo nome è la parola decisiva. I miracoli di cui è portatore sono dispositivi per raccogliere la massa sotto il suo nome e creare il mito iniziatico per una storia – quella della Chiesa cristiana – di sofferenze, di guerre, di innumerevoli morti in nome suo. Gesù cercherà di sfatare questo destino, di zittire la Parola, ma capirà solo nel momento estremo che tutto il suo affannarsi in preda all’angoscia era stato solo un inutile tentativo di fuga, ingenuo e fatale come quello di ogni uomo.
Peggio, il suo piano in rincorsa di una morte che lo sollevi dal suo incarico si risolve proprio nel compimento dell’iniziazione. È Gesù stesso a consegnarsi, spontaneamente quanto disperatamente, al rito sacrificale e il mito della Croce si erge, lasciandogli giusto il tempo per un ultima preghiera: «Uomini, perdonatelo, perché non sa quello che ha fatto».
Nelle parole di questo prezioso racconto c’è lo Scrittore delicato e furente che ora non c’è più. Grazie José.

José Saramago
Il Vangelo secondo Gesù Cristo
Feltrinelli
€ 9,50

martedì 8 marzo 2011

L'unità, fare corpo (ultima parte)

Ecco la quarta e ultima parte di L'unità, fare corpo, saggio comparso sul catalogo della mostra Volti della guerra. Le idee, gli uomini, la posa curata dalla Civica Raccolta d'Arte di Medole (MN). La prima parte è qui. La seconda è qui. La terza qui.

Marziale leggerezza

Di cosa si sono alleggeriti gli eroi? Quale leggerezza ci promette la loro immagine? Dei corpi. Facendosi corpo unico, unito, unitario, essi sublimano ciò che, dei corpi, li incolla inesorabilmente alla terra. Il carnale, che faticosamente ha trascinato questi uomini dentro le loro vicende, che è stato ovunque, in ogni istante delle loro vite e, soprattutto, delle vite di coloro che li hanno circondati, sparisce. Si distrugge nel simbolo, cioè quando chiediamo alle immagini di essere solo simboli, di accorparsi a narrazione unica, a Unità narrativa. I corpi dilaniati dalla guerra, i corpi dei morti, dei feriti e dei soccorritori, convivono l’uno con l’altro e tutti con l’inesorabile pesantezza della carne e del tempo sempre presente, un frammento privo di direzioni. Questa prossimità e vicinanza, questa comunanza con noi scompare nella sublimazione dei corpi che è il mito del corpo unito. L’identità nazionale narrata come essenza naturale è tecnicizzazione ideologica e autoritaria e scegliere l’identificazione come via di avvicinamento apre puntualmente alla catastrofe.[i] Rimanere identici a se stessi per riconoscersi e accorparsi tra identici è il movimento eminentemente militare, un movimento che raggiunge la vicinanza soltanto tramite l’annullamento delle differenze.[ii]

Corpi, le Unità

Disconoscere la nostra identità per riconoscerci identici all’identità unica, per essere unità con il vicino. Questa insistenza, questo desiderio di incorporarci in un’identificazione, in un corpo (militare) si costituisce, nella circolazione sanguigna di quello stesso corpo, come il germe primario della violenza sociale. La sparizione della differenza, il sacrificio dei corpi molteplici a beneficio del corpo simbolico unitario, non può e non deve essere il lascito della vicenda risorgimentale poiché essa unica e unitaria non è ma, piuttosto, è formazione alchemica e multiforme, cangiante ed eccessiva, irriducibile. Per questo non accetta la Narrazione unitaria ma, semmai, l’esplorazione delle storie, le loro mescolanze e la sopravvivenza delle immersioni, sempre in grado di riemergere. In questa molteplicità ritroviamo il tessuto connettivo, i muscoli, i tendini e le ossa di un corpo sociale chiamato Unità. La differenziazione, ancora dinamica, dei suoi organi e delle sue membra vitali è l’insieme delle battaglie che l’ha eretto; volerlo identificare solo in contrasto col diverso è la guerra che lo distrugge.


[i] Per una preziosa riflessione su identità e convivenza cfr. J. Nancy, Verità della democrazia, Cronopio, Napoli 2009.
[ii] Sulla violenza di cui è troppo spesso caricato il concetto di identità cfr. Amartya Sen, Identità e violenza, Editori Laterza, Roma-Bari 2008.

venerdì 4 marzo 2011

L’unità, fare corpo (parte III)

Ecco la terza parte di L'unità, fare corpo, saggio comparso sul catalogo della mostra Volti della guerra. Le idee, gli uomini, la posa curata dalla Civica Raccolta d'Arte di Medole (MN). La prima parte è qui. La seconda è qui.


Identità, simbolo

Quando osserviamo i ritratti raccolti in Volti della guerra. Le idee, gli uomini, la posa stiamo di fronte a dei disegni di visi realizzati per testimoniare, cioè conservare e tramandare. I ritratti, il fatto che ora stiano alla mercé dei nostri sguardi, che siano sopravvissuti per essere fisicamente sottoposti ai nostri occhi, sono testimoni del valore dei loro soggetti, del merito, da essi conseguito, che si garantisse la loro memoria. Sono il ricordo della loro identità. Quella di uomini che hanno partecipato a conseguire l’unità, che hanno creduto nel valore morale che essa costituiva e combattuto per tale valore. La leggerezza delle loro espressioni contrasta con il peso dell’impegno cui hanno partecipato, di cui sono simboli. Una pesantezza che è quella viscosa della Storia, delle storie, viene a noi tralasciando il proprio peso, sollevandosi leggera e fiera, uno sguardo collettivo che diventa già il nostro mentre lo subiamo, l’unità degli sguardi ritratti verso il futuro. Futuro di cui si va fieri perché è il proprio, quello desiderato: proietta una linea luminosa che squarcia il tempo pesante, quello delle storie frammentate e contrastanti, quello della fatica e ne costituisce uno nuovo, la Storia, il simbolo. In quei volti c’è la leggerezza del simbolo e c’è l’identità col simbolo, quegli sguardi diventano i nostri, noi riconosciamo quei volti e quelle pose, ci riconosciamo. E nel diventare identici a loro, ci facciamo simboli della loro Storia, ce ne appropriamo riconoscendoci in essa e diciamo “questa è la nostra Storia”. Di questa identità che vuole riassumere l’Unità[i] i ritratti, che sono corpi ricreati, si sono fatti metafora.[ii] E su di essi, sui corpi fattisi immagini – e così immortali e per sempre in grado di venire – sono i nostri corpi a recarsi, a portare lo sguardo e la propria identità. Quella leggerezza diventa desiderio per i nostri corpi, la promessa di elevazione dalla nostra pesantezza, una promessa che è quella dell’eroismo. Gli eroi sono leggeri.


[i] Per la prima volta mi riferisco specificamente ed esclusivamente all’Unità d’Italia e per questo accolgo l’iniziale maiuscola e la referenza simbolica che essa assume per la storiografia.
[ii] Sul costituirsi in immagine del corpo e sul suo sfruttamento in chiave simbolica cfr. G. Solla, L’inerme, l’anarchia della vita in R. Panattoni e G. Solla (a cura di), Teologia politica 2 - Anarchia, Marietti, Genova-Milano 2006.

martedì 1 marzo 2011

recensione di "Della dominazione"

Dall'associazione casa di marrani è uscito – per la traduzione e la cura di Marco Tabacchini e Silvia Uberti – il libro Della dominazione. Il capitale, la trasparenza e gli affari del filosofo francese Michel Surya.

Qui trovate una mia recensione, pubblicata sul numero di marzo de La Civetta [Il numero completo del giornale lo trovate nel box sfogliabile].



Di questo si tratta. Della dominazione. Chi la subisce, chi la possiede e assume, certo. Ma non sono, quelli sull’identità dei colpevoli, quesiti decisivi. Non il dominatore e nemmeno il dominio, bensì il loro esercitarsi è il di nella domanda fondamentale: di cosa si tratta nella democrazia contemporanea? Occorre resistere alla tentazione forse più attraente e certamente più feroce, nella sua fallacia: voler rincorrere a tutti i costi una soluzione additando e illudendosi di acchiappare il mostro della Storia. Ma il potere non si lascia ridurre in simili nominazioni; nemmeno in questione, poi, il riuscire a comprenderlo o a superarlo semplificandolo. Questi inviti sono, nella struttura della dominazione, il meccanismo supremo del suo alimentarsi: la pretesa di minacciarla e distruggerla è l’istanza primaria che muove chi, invece, brama di impossessarsene. E da questa pulsione, così costantemente incoraggiata e ancor più agevolmente premiata (ma mai, si badi bene, soddisfatta), altro non si genera che il reiterato instaurarsi della dominazione stessa che è già deleterio ritenere, solo per questo movimento, “nuova”. Per quanto essa si traduca nell’asportazione delle sue forme più accusate e perseguite, nessuna tendenza alla novità agita la dominazione. Piuttosto, l’atrofia della politica, la cancellazione del tempo che è categoria del cambiamento e, quindi, categoria politica se ce n’è una.