Grazie Scrittore. Credo che gli omaggi di questi giorni, tributati dai media nazionali in occasione della sua scomparsa, manchino José Saramago, non lo trovino mai laddove le loro parole cercano di raffigurarlo, forse per l’eccessiva ansia di tratteggiarne un’immagine eroica. Saramago era certamente il premio Nobel impegnato politicamente, membro del partito comunista e critico pensatore del sociale. Certo era l’ateo che diede alle stampe opere sgradite alla Chiesa e attaccò l’immunità e l’impunità di Israele. Indubbiamente fu colui che subì la rottura del decennale rapporto con Einaudi in seguito alle sue righe su Silvio Berlusconi così come entrò in conflitto con il governo portoghese dopo il Vangelo secondo Gesù Cristo. Ma José Saramago era uno scrittore. E proprio dalle pagine del Vangelo emerge – con una potenza eguagliata forse solo in Cecità – quanto fenomenale.
La figura dello scrittore è esile, il suo volto è segnato dalla vita che si è fatta strada a solchi, l’incavo dei suoi occhi si accende ora dei lampi dell’indignazione, che non transige però rassegnazione alcuna, ora dell’irriducibile amore per il mondo e per la parola. Questa è la protagonista.
Parola, oggetto creato e soggetto creatore, sempre sulla soglia vertiginosa della prossima sperimentazione e tuttavia mai a discapito, piuttosto in virtù, della sua riconoscibilità, dell’intimità con il lettore. Parola, linguaggio che è discorso, il segno orale così vivido e carnale – la parola del Signore – da non necessitare di segni grafici che lo delimitino o lo incanalino. Parola, quelle delle Scritture, riscritta qui tutt’altro che con l’intento schernitorio di un’eresia banale ma col desiderio, piuttosto, di squarciare il velo secolare che ha allontanato quella Parola da colui di cui parla, dal Figlio dell’uomo.
E proprio come un uomo Gesù è raccontato: incarnato secondo il mistero, fatto uomo per essere strumento del progetto divino, eppure essere umano che si sporca le mani di terra, che guarda negli occhi i suoi prossimi, che desidera, teme la sofferenza e ha paura di morire. Gesù suda, sanguina, gode. Ecce homo.
Gesù è il figlio di Dio ma non vorrebbe questa elezione. Le sue parole e i suoi atti sono doni che alleviano le sofferenze del popolo, ma sono altre parole, quelle del Padre, che gli confermano il suo destino: il suo nome è la parola decisiva. I miracoli di cui è portatore sono dispositivi per raccogliere la massa sotto il suo nome e creare il mito iniziatico per una storia – quella della Chiesa cristiana – di sofferenze, di guerre, di innumerevoli morti in nome suo. Gesù cercherà di sfatare questo destino, di zittire la Parola, ma capirà solo nel momento estremo che tutto il suo affannarsi in preda all’angoscia era stato solo un inutile tentativo di fuga, ingenuo e fatale come quello di ogni uomo.
Peggio, il suo piano in rincorsa di una morte che lo sollevi dal suo incarico si risolve proprio nel compimento dell’iniziazione. È Gesù stesso a consegnarsi, spontaneamente quanto disperatamente, al rito sacrificale e il mito della Croce si erge, lasciandogli giusto il tempo per un ultima preghiera: «Uomini, perdonatelo, perché non sa quello che ha fatto».
Nelle parole di questo prezioso racconto c’è lo Scrittore delicato e furente che ora non c’è più. Grazie José.
José Saramago
Il Vangelo secondo Gesù Cristo
Feltrinelli
€ 9,50