È sotto i riflettori da tempo, ormai, la questione dello stato di salute della democrazia: sia di Democrazia – il concetto che parla di una forma di governo ma anche e soprattutto della possibilità di un non-governo – sia delle democrazie reali, delle attuali condizioni degli Stati che si definiscono democratici. Il fatto stesso che ci si ponga l’interrogativo – come sta la democrazia? – testimonia la tendenza a rispondere con pessimismo; la domanda stessa è già il desiderio di trovare una terapia al malessere democratico. Lo studio dei sintomi stringe la lente sui casi specifici, specialmente se diventano immagini peculiari di un paradigma: così il caso clinico impossibile da ignorare diventa proprio quello italiano. Scrittori, docenti e ricercatori accomunati dall’urgenza di far deragliare l’abusato e logoro – poiché assolutizzato – linguaggio dell’attualità italiana. Uscire dai binari del discorso mediatico per aprire i luoghi della possibilità, quanto meno, di discorsi teorici: tradire la politologia per recuperare delle sopravvivenze della politica. Anche e soprattutto questa necessità di disattendere al linguaggio assoluto è causa dell’assenza del nome di Berlusconi dal titolo del libro (e dei saggi in esso contenuti).
L’indicazione onomastica ricadrebbe inevitabilmente nella logica dell’identificazione: identificazione che è sempre un’accusa, un’indicazione di colpevolezza, la designazione del capro espiatorio. Un’identificazione che, nel caso di Berlusconi, è sempre e continuamente compiuta con il (neo)fascista. Al gioco di questa facile identità, che altro non sarebbe che un’assoluzione per gli avversari, occorre rifiutarsi di partecipare, come spiega Maurizio Zanardi, curatore del volume, quando ne espone alcune tesi centrali: «1) l’inservibilità della categoria di “fascismo” o “neofascismo” per interpretare l’attualità italiana; 2) le enormi responsabilità politiche e culturali della “sinistra”, che impongono di
rompere con il suo discorso». Non si tratta soltanto di diffidenza verso il triviale paragone tra berlusconismo e fascismo quanto, piuttosto, del bisogno di trattenersi (suggerito anche da Belpoliti,
Pasolini in salsa piccante, e Didi-Huberman,
Come le lucciole) dalla stessa apocalittica rassegnazione che fu di Pasolini quando parlava della «scomparsa delle lucciole» e del «neofascismo». La condizione di sfrenato liberismo che soffoca anche l’immaginazione di un territorio politico, la società dell’esposizione spettacolare che è sparizione delle differenze, non devono e non possono essere considerate l’unico fascio di realtà. Nella sparizione delle molteplicità, delle esperienze, delle narrazioni, occorre scegliere di immaginare l’inimmaginabile e di resistere alla «pubblica oscenità», perché «non c’è politica che non cominci dai lampi che fanno tremare la presunta consistenza del mondo». Occorre affondare lo sguardo e le mani nella consapevolezza, per quanto ributtante, che quella della canaglia, del puttaniere, dell’avventuriero senza scrupoli di cui Berlusconi altro non è che un simbolo, sono narrazioni avvincenti; lo spettatore che assiste alla scena teatrale dell’attore-capo ne è conquistato, la trama che assume lo prende nell’identificazione. Insistere nell’additare la corruzione morale del potere e a smarcarsene con aria snob non può che neutralizzare la
chance di uno spazio politico: la morte della democrazia italiana non è sul punto di venire, siamo ben oltre la sepoltura. Ammetterlo è il momento necessario per «continuare il lavoro del lutto».
Borrelli, Genovese, Moroncini, Pezzella, Romitelli, Zanardi
La democrazia in Italia
Cronopio
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