Sono un uomo solo. Questo rettangolo, entro cui mi trovo, è la mia vita. E io lo odio.
Tutti voi mi avete sempre visto qui, e non c’è altro luogo in cui potrei stare. Non posso uscire da questi confini geometrici, non posso che starci. Fermo. Anche e soprattutto quando corro come un forsennato, quando condanno l’anima e il corpo, quando sacrifico a esso la mia vibrante disperazione, dentro al rettangolo sono fermo, non posso che stare.
Credetemi, mille volte avrei voluto fuggire, altre mille ho cercato scorciatoie sotterranee per uscirne, finendo sempre per sentirmi ancora più solo. E tornare a stare qui. Dove odio stare. Dove mi hanno messo e certamente non avrei scelto di entrare. Eppure, forse, sono sempre stato qui dentro e non poteva essere che così.
Quando mi è concesso di gettare lo sguardo fuori dal rettangolo, devo approfittare di quell’istante per cercare aiuto. Questo è il motivo per cui ho costruito una squadra: non accetterei le sconfitte da solo, tantomeno sopporterei il successo, senza di loro. So che mi accompagneranno sempre, che ognuno di loro avrà una parola, uno sguardo, un’energia per me, so che senza di loro sarei meno di niente. Eppure, alcuni della squadra, dopo anni, vanno per la loro strada. Così scopro che qualcuno ci sarà sempre.
Quello che non avrò mai indietro è un padre. Il mio ha scelto con furia e tenacia di ingabbiarmi qui e io non ho mai potuto scegliere. Nulla. Quando ho capito che non l’avrei mai avuto come volevo, ho iniziato a fare le mie scelte. E a sbagliarle. Fu allora che tutti cominciaste a odiarmi. Fu esattamente allora che tutti vi innamoraste di me. E io di voi. Poi il rettangolo si ricoprì di un manto verde, sottile e soffice.
Un tempo, decidere di non vestirmi in bianco e di non baciare i piedi alla vostra tradizione era una tra le poche scelte che mi facessero sentire libero: ora sto alzando per la prima volta il simbolo di quella stessa tradizione mentre voi mi tributate il trionfo, mi adorate e più di me adorate i miei capelli. Sono finti. Image is everything.
A lungo sono il più bravo, il numero uno tra quelli che si affannano nel rettangolo. Sono giovane, il mio talento decide il mio destino per me e una delle donne più belle e ammirate del pianeta decide di diventare mia moglie. Ho tutto. Lei è un’attrice, si chiama Brooke. Non ci amiamo e il tempo non mancherà di farcelo capire. Così come non mancherà di insegnarmi che il mio gioco lo devo rispettare, oppure non sarà più mio. Quando il destino, incarnato in un uomo di nome Pete, mi dimostra che non sono il migliore, mi convinco di essere il peggiore. Non ho tutto, infatti non ho niente. Mento ai miei amici, mento a chi controlla il rettangolo, mi drogo. Poi, toccato il fondo sotto al fondo, mi sveglio.
Comincio a invecchiare e devo rifare quello che fanno i ragazzini, lontano dai riflettori e dai vostri sguardi. Altro che soffice manto erboso. Cemento duro di provincia. E risorgo da lì, frustando ancora il mio corpo e la mia anima. Scopro che il rettangolo può essere il tuo migliore amico, se sai perché lo abiti. Poco per volta non voglio più lasciarlo, perché stare lì dentro a soffiare, scattare, colpire, mi permette di aiutare i bambini. Quando finalmente sono felice di stare dentro ciò che odio, mi innamoro. Della donna più bella del mondo. La donna che, da che esiste il tempo, ha fatto meglio di qualunque altra ciò che si fa dentro al rettangolo.
Che sbadato, non mi sono presentato. Sono un uomo che ha vinto i quattro slam e l’oro olimpico nel tennis. Sono Andre Agassi. E ho scritto un libro.
Andre Agassi
Open – la mia storia
Einaudi, € 20,00